martedì 24 maggio 2022

Primavera. Una lunga premessa

 Quando ero piccola la primavera era la mia stagione preferita, lo ricordo molto bene. Forse fu perché qualcuno me lo chiese, quale fosse, o per qualche compito assegnato in seconda elementare, fatto sta che elaborai una risposta che ero fiera di poter sfoggiare all'occorrenza: è la primavera la mia stagione preferita, perché non fa né caldo né freddo. Semplice, inattaccabile, ragionevolissimo. Poi be', all'epoca si poteva considerare ancora primavera anche la fine di maggio, quando cade il mio compleanno, e benché anche da piccola non amassi stare al centro dell'attenzione a quale bambina sotto sotto non piace il proprio compleanno. Forse anche questo dato auto-riferito aveva contribuito alla vittoria schiacciante della primavera sulle altre stagioni. 

Avrei iniziato a cambiare idea già da adolescente, quando le allergie stagionali avrebbero iniziato a tormentarmi, riempiendo le mie giornate di starnuti incontrollati e facendomi di colpo scoprire quanto possa essere fastidioso avere un paio d'occhi in faccia. Dalla stagione dolce che avevo fino ad allora conosciuto, che veniva a prendermi per mano per tirarmi fuori di casa a godere di un sole gentile dopo l'inverno, in cui tutto intorno a me fioriva dandomi l'impressione che persone, piante, animali e persino le cose inanimate venissero come toccate da un soffio magico che restituiva loro vita dopo un lungo torpore, la primavera sembrava aver deciso che non eravamo più amiche, e che d'ora in poi mi avrebbe rivoltato contro la campagna intera. I pollini che volano e le piante rigogliose coalizzate per causarmi la febbre da fieno, i forasacchi che infestano ogni centimetro di prato, minacciando nasi ed orecchie dei miei cani causandomi l'ansia di corse improvvise dal veterinario. Forse è il cambiamento climatico che l'ha incattivita, rendendola più simile ad un inizio precoce d'estate, ma decisamente la primavera non è più la mia stagione preferita da parecchie primavere a questa parte. Eppure, una cosa che mi piace la conserva ancora: quel momento, breve, in cui fioriscono i ciliegi.

Se penso a come le persone si affollano in Asia per andare a godersi lo spettacolo dei ciliegi in fiore mi sento incredibilmente fortunata: intorno a me non c'è nessuno, a parte i proprietari dei campi che ogni tanto vengono a lavorarli. Di ciliegi, invece, ce ne sono più che a sufficienza. Da qualche parte nella mia memoria di bambina è sepolta la sensazione di stupore e meraviglia di quando, uscendo sul balcone della mia cameretta, di colpo quello scenario si stendeva a perdita d'occhio giù per le colline. Ce n'erano molti di più allora, e proprio sotto di me splendevano al sole gli alberi dei miei nonni. A volte i fiori di ciliegio sembravano esser spuntati di colpo, tutti insieme, durante la notte: un po' come quando ti svegli che ha nevicato ed il paesaggio è completamente diverso da come lo avevi lasciato la sera prima. Solo che da me non nevica mai, i fiori di ciliegio invece tornano puntuali ogni anno. A quella memoria di bambina sono intrecciati momenti e sensazioni specifiche, come la promessa delle vacanze estive imminenti che iniziavo a respirare nell'aria. Di lì a poco avrei visto per giorni i miei nonni che risalivano lentamente da giù alla terra, come si usava dire in famiglia, portando secchi stracolmi di ciliegie che nei mesi a venire avrebbero colorato il centro delle nostre tavole e gli angoli delle cucine, in un'abbondanza della cui ricchezza ti puoi rendere conto solo da adulta, quando ne restano simboli e ricordi. Mio nonno non c'è più, ed anche prima di andarsene aveva smesso da tempo di scendere giù alla terra. I ciliegi non sono tanti come allora, le ciliegie nemmeno, persino la cantina - luogo d'infanzia affascinante ed un po' spaventoso, teatro di giochi di sfrenata fantasia, dove le gatte andavano a partorire e dove ogni felino aveva un suo posto, dove mia nonna lavava i panni a mano, dove l'uva diventava vino, le olive si trasformavano in olio, e dove c'era un baule pieno di costumi di carnevale cuciti a mano in cui non mi sarei stancata mai di rovistare - ecco, persino un posto così, che sembrava contenere universi interi - non esiste più.

Resta qualcosa d'impalpabile, come degli odori incastrati nel naso che non si possono spiegare a qualcuno che non li ha mai sentiti, resta una memoria sensoriale fatta di potentissimi frammenti. Restano dei gesti impressi nella mano, che io compio quasi per gioco, quando mi va, tra le braccia di certi alberi, quelli che hanno resistito al consumarsi del tempo ed alla nostalgia delle cose perdute. Quando raccolgo una ciliegia nel modo giusto - senza rovinarne l'attacco, in modo che l'anno prossimo possa tornare a fiorire - lo faccio lentamente, perché mi perdo a pensare. Indosso di nuovo i miei occhi di bambina, e rivedo ciò che vedevo allora: nel caldo di inizio giugno corro nel fresco della cantina, mio nonno è appena risalito e sta seduto a riposarsi dopo ore di sole e di fatica. Deve ancora togliersi gli stivali di gomma, sporchi di terra, mia nonna intorno fa le cose di fretta perché deve correre a buttare la pasta per il pranzo nell'acqua che già bolle in cucina. Intorno ci sono secchi di plastica colorata pieni di frutti, mio nonno sorride - immagino, o forse c'era davvero, un orgoglio che soltanto adesso potrei capire - e chiede: la vòi assaggià 'na cerasa?

Questa voleva essere soltanto una premessa al primo libro che recensirò su questo blog, ma prima che potessi accorgermene era già diventata troppo lunga per essere soltanto una premessa. Sotto le mie dita sulla tastiera si era trasformata da sola in qualcos'altro, che non avevo minimamente previsto. Il guaio è che il libro in questione ha dei petali di ciliegio che gli svolazzano in copertina, ed un libro che si presenta così io lo potevo leggere in un periodo soltanto, quello in cui i ciliegi sono in fiore anche fuori dalla mia finestra. Speravo ardentemente che il contenuto delle sue pagine mi riempisse e per fortuna, ora che se ne sta tranquillo in mezzo alla pila dei libri letti sinora questo mese, posso guardarlo con affetto: ha di gran lunga superato le mie aspettative, perché conteneva proprio la profondità di un insegnamento nascosto dentro un gesto. 

Ed è così che, tra uno starnuto e l'altro, capita anche di sorridere.
Del libro, lo prometto, vi parlo presto.